Aston Martin DBX | Test Drive
LA STRADA NON BASTA
Testo di Alessandro Marrone / Foto di Philipp Löhmann
Questa volta non avevo intenzione di divincolarmi dall’immancabile binomio Aston Martin e James Bond, situazione che grazie alla nutrita filmografia dell’agente segreto con licenza di uccidere fornisce ottimi spunti ogni volta che ci troviamo ad accogliere un nuovo modello uscito dai cancelli di Gaydon, per non parlare di quando si ha la fortuna di “portare il lavoro a casa” per qualche giorno e rendersi davvero conto di come Aston Martin sia capace di valorizzare il viaggio, rendendo gli spostamenti sempre più concentrati nel cercare la strada più lunga, ovvero quella che ci permetta di deliziare i nostri cinque sensi grazie al suo slogan “Power, Beauty, Soul” che incarna alla perfezione vetture estremamente performanti, maledettamente sexy e profondamente in grado di toccare quei tasti che accendono in noi l’insaziabile desiderio di divorare chilometri.
Nel caso della DBX, il primo SUV mai prodotto da Aston Martin in oltre un secolo di esistenza, abbiamo le solite promesse gettate in pasto agli addetti ai lavori, clienti e appassionati. La strada non basta, per parafrasare il film di 007 datato 1999 e con Pierce Brosnan a vestire i panni dell’infallibile agente britannico. Che si tratti di qualcosa di speciale non c’è dubbio e non soltanto perché Aston attendeva di giocarsi questa carta da diverso tempo, a tal punto da aver cominciato a spolverare il glorioso nome Lagonda, del quale dovremmo vedere qualcosa di concreto e ancora più esclusivo in un futuro prossimo. Fatto sta che la DBX è realtà adesso e come modelli analoghi di brand simili hanno fatto in passato, ricopre un ruolo fondamentale per il marchio, sia per mantenere il posizionamento sugli elevati standard ai quali siamo abituati da oltre un secolo, sia per fare in modo che una vettura abile nel venire incontro alle più disparate esigenze dei propri clienti consenta a Gaydon di continuare a investire nella ricerca e nello sviluppo di quelle auto da sogno che identificano la più tipica immagine collettiva nel momento in cui senti dire Aston Martin.
Tolta la Rapide, per il momento ancora in listino, la DBX si propone come il mezzo di trasporto ideale per la settimana lavorativa e per la vacanza, forte delle caratteristiche che rendono i SUV vetture in grado di portarvi dappertutto e in qualsiasi condizione. Sì, perché a differenza di ciò che succedeva sino ad almeno cinque anni fa, l’enorme successo ottenuto da questa categoria ha fatto in modo che le case riponessero le giuste attenzioni anche all’aspetto off-road, alle volte soltanto idealizzato da una discreta altezza da terra. Dove prima era facile trovare il costoso SUV di turno bloccato su terra o neve, la DBX sottolinea che sporcarsi sino alle portiere non sia un peccato mortale, ma un modo per dimostrare che l’assegno staccato al concessionario sia finito in qualcosa che fa davvero ciò che promette. Il mio primo approccio con la DBX, al momento disponibile con una sola motorizzazione e di cui parleremo tra qualche riga, è stato proprio nell’ultimo posto in cui vi aspettereste di trovare un’auto da quasi duecentomila Euro e con l’interno in pelle chiara. Tra fango e tanta polvere.
Nel giro di pochi minuti mi getto nel percorso sterrato, con gli enormi pneumatici da 22 che calpestano pietre, fango e poi si immergono dentro una vasca colma di acqua putrida che avrei avuto timore di affrontare anche con un vecchio LR Defender. La DBX non ha la minima incertezza, soprattutto quando inserendo la modalità Terrain e Terrain+ si richiede assistenza al cervellone della vettura stessa, il quale può essere anche agevolato dal mantenimento di velocità in fase di ripide discese, mediante l’hill descent control. È un attimo e mi rendo conto che i SUV non siedono più in disparte a guardare, sanno sporcarsi e se avete un buon motivo per farlo, non c’è neppure bisogno di farsi troppi scrupoli – la stessa DBX è stata costruita apposta per questo. Non solo questo, mi suggerisce la vocina che non vede l’ora di posare le ruote sull’asfalto e lasciar sfogare il V8 da 4 litri di origine AMG che ho avuto modo di provare con la V8 Vantage, in questo caso rivisto profondamente per offrire un’erogazione più adeguata ad una vettura da oltre 2 tonnellate e con una potenza complessiva di 542 cavalli e una coppia massima di 700 Nm, quest’ultima disponibile da 2.000 a 5.000 giri. Il coach sulla DBX che mi precede decide di insistere e darmi definitivamente prova di quanto il primo SUV Aston Martin sia un prodotto completo, non è una versione beta o qualcosa che aspetta di essere affinato per le generazioni future. Lo capisco nel preciso istante in cui oltre il parabrezza vedo solo l’azzurro del cielo e con il V8 che borbotta salgo una delle rampe più assurde che abbia mai percorso per poi sistemare a fine percorso l’auto ricoperta di fango e gloria sino agli specchietti retrovisori.
Tempo di scendere, senza peraltro rischiare di sporcarsi grazie ad un perfetto isolamento delle portiere e dei pannelli in generale, salire su un esemplare appena arrivato dall’autolavaggio e premere ancora una volta quel bottone in vetro che da vita al cuore pulsante della DBX. Oltre alle modalità Terrain e Terrain+, abbiamo la più tradizionale GT, Sport, Sport+ e Individual, tramite la quale potete ovviamente impostare i singoli parametri a vostro piacimento. Non c’è neanche da chiederlo, seleziono Sport+ e con il controllo trazione che si disabilita e una trazione prevalentemente sull’asse posteriore, guadagno decibel e maggiore reattività per sterzo, acceleratore e cambio, un automatico a 9 rapporti, non troppo corti per essere un motore turbo e quindi utile per cercare – nei limiti del possibile – di contenere i consumi perlomeno quando tornate a casa senza fretta.
L’ingresso in Autobahn senza limiti di velocità è come l’ingresso in pista dopo un rapido pit-stop, nel nostro caso il modo ideale per avere subito un antipasto delle qualità dinamiche della DBX. Premendo il posteriore a terra, la spinta è costante e mentre il rombo del 4-litri non è mai troppo invasivo, sparo una marcia dopo l’altra tenendo ben salda la presa sul volante. Passano pochi chilometri ed è finalmente tempo di abbandonare la raffica di sparate autostradali, in favore di un tratto più guidato, fondamentale per toccare con mano il comportamento della DBX, dove peso e stazza potrebbero rappresentare un ostacolo. Il comfort dell’abitacolo è totale, ma ciò che più mi soddisfa è la seduta, che impostandola a mio piacimento offre una perfetta visuale sull’esterno e soprattutto ti fa sentire seduto nell’auto e non sopra di essa, aspetto non da poco. Infatti, dopo aver inanellato una bella serie di curve veloci avevo quasi scordato di essere al volante di un SUV, con un rollio inesistente, ingressi in curva di precisione chirurgica e che non costringono a farti il segno della croce nemmeno quando ancora prima del punto di corda ti rendi conto di essere arrivato troppo veloce. Il propulsore è sempre generoso e non implica di agire costantemente alla ricerca della marcia perfetta, ma senza dubbio, trovarsi nel regime di giri ideale contribuisce a quella pazza corsa verso i limiti del buonsenso che scatena una scarica di adrenalina ogni volta che il mondo fuori dai finestrini si fa sempre meno nitido.
Senza neanche rendermene conto, noto che la lancetta del carburante si avvicina alla spia della riserva (il consumo dichiarato per il ciclo misto è di circa 14,3 l/100 km), una situazione preventivabile visto quanto la DBX sia incline ad una guida sportiva. E pensare che sino a qualche ora fa mi trovavo in uno scenario completamente opposto, impensabile per qualsiasi cliente Aston Martin. Non più. Colgo l’occasione per abbassare il ritmo e mentre processo mentalmente i vari input che queste prime ore di guida mi hanno offerto, concedo il giusto spazio anche ad uno degli abitacoli più eleganti sui quali abbia avuto la fortuna di trascorrere del tempo. La DBX, sia esternamente che internamente, rappresenta un’apoteosi di linee morbide. C’è coerenza tra la familiare bocca all’anteriore, in perfetto stile Aston ma dalle dimensioni più generose del solito e la coda con i gruppi ottici e il piccolo spoiler integrato preso in prestito dalla Vantage. Nel vano bagagli c’è spazio per qualsiasi cosa vi serva per un weekend, una settimana, o addirittura un mese in montagna, mentre i tre occupanti posteriori hanno ampio spazio per gambe e testa e questo a discapito di quanto la linea del lunotto potrebbe far ipotizzare. Il posto dove però vorrete trovarvi sarà davanti e più precisamente al posto guida, con un display da 12,3 pollici interamente digitale dietro al volante e il secondo schermo da 10,25” a sovrastare il tunnel centrale. Non è touch screen, ma azionarlo dai comandi situati tra voi e il passeggero risulta essere più pratico. C’è profumo di pelle, di materiali nobili e poi sappiamo benissimo che – portafogli permettendo – ci si può sfogare con qualsiasi richiesta immaginabile, per tutto questo il reparto speciale Q saprà soddisfarvi, a meno che non vogliate un mitragliatore al posto della videocamera posteriore (che poi è 360°), altrettanto utile nell’ovviare alle dimensioni della vettura ed a quelle invece ridotte del lunotto posteriore.
Nessun problema per raggiungere lo chalet di montagna, neppure in caso di neve, dato che sono stati sviluppati pneumatici invernali appositamente per questo modello, ma la vera domanda resta quella che mi ha portato fin qui per capire se la DBX, arrivata un po’ in ritardo alla festa dei performance-SUV, tenga con se la vera essenza che rende un’Aston Martin unica e se in un disegno ancora più ampio possa rappresentare qualcosa di cui non sentivamo il bisogno, ma di cui adesso non potremo fare a meno. Quindi, se dobbiamo rimanere senza benzina facciamolo nel modo giusto ed è così che superata un’altra manciata di pittoreschi paesi a ridosso dell’iconico Nurburgring – non a caso proving ground fondamentale per lo sviluppo della dinamica dell’auto – riporto la DBX su ritmi che si convengono a quei 542 cavalli che non vi faranno sentire troppo la mancanza della vostra altra Aston, magari lasciata in garage e al riparto da meteo avverso. La DBX si è dimostrata eccellente su terra e su asfalto, ma ha sorpreso anche in quanto a praticità, per non parlare di un comfort totale e di un look fedele ai tratti distintivi del brand, il modo migliore per mantenere un family feeling oggi indispensabile per mettere subito in chiaro che non avete scelto di stomaco, ma di cuore e in questo caso anche di testa.
Occorrono almeno 188.000€ per portarsela a casa e che sia la seconda, oppure terza, o quarta, o l’unica auto di famiglia, poco importa. Nel momento in cui aprirete la porta del garage sarà lì ad ammiccare compiaciuta, consapevole del fatto che come un fidato boy scout porterà tutto l’occorrente sempre con sé, a disposizione delle vostre più disparate necessità, tra le quali ovviamente figurano praticità, sicurezza e un divertimento che la vede staccare lo 0-100 km/h in 4 secondi e mezzo e raggiungere in scioltezza 291 orari. La DBX è nata da un foglio bianco, una scommessa di grande importanza per un brand che riesce a mantenersi al passo coi tempi e tuttavia restare legato al suo illustre e glorioso passato, ma mai come in questo caso, la volontà di enfatizzare un’impronta su un terreno vergine si era spinta così lontana dal nostro amato asfalto. Per lei la strada non basta, ma per il 99% di noi lei può tranquillamente bastare.
ASTON MARTIN DBX
Layout – Motore anteriore, trazione posteriore/integrale
Motore – 8 cilindri a V 3.982cc – twin-turbo
Trasmissione – cambio automatico a 9 rapporti
Potenza – 542 cv @ 6.500 rpm
700 Nm @ 2.200 – 5.000 rpm
Peso – 2.245 kg
Accelerazione – 4,5 sec.
Velocità massima – 291 km/h
Prezzo – da € 188,126